Gli Esperti dello Sfratto

La disciplina fiscale dei canoni non percepiti. Un paradosso tutto italiano.

La tassazione del canoni non percepiti
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  • Giugno 6, 2017

La disciplina fiscale dei canoni non percepiti. Un paradosso tutto italiano.

La disciplina fiscale cui sono sottoposti i canoni (redditi) non percepiti incarna un paradosso tutto italiano.

Come sappiamo i canoni corrisposti regolarmente dall’inquilino (e regolarmente percepiti dal proprietario) concorrono, com’è ovvio e giusto, a costituire il reddito del contribuente. Reddito che viene, legittimamente, sottoposto a tassazione secondo le aliquote proprie al contribuente stesso. Ad oggi, questi redditi, sono spesso regolati, ove sia stata esercitata la corrispondente opzione, secondo il regime fiscale agevolato della cd. “cedolare secca”.

Ebbene, cosa succede quando il canone (reddito) non viene percepito perché l’inquilino è moroso?

Ci si dovrebbe attendere, considerati i principi cardine del diritto tributario, che non essendovi reddito percepito non vi sia neppure tassazione. Ma non è sempre così. Ed oggi il regime, già ammorbiditosi rispetto al passato, varia in considerazione del tipo di locazione (abitativa o ad uso diverso) di cui si discute.

Intanto, fino all’entrata in vigore della legge n. 431/1998, faceva stato l’art. 26 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi secondo cui i redditi fondiari concorrevano a formale il reddito da sottoporre a tassazione “indipendentemente dalla percezione”.

L’inspiegabile rigore di tale vessatoria disciplina è stato solo parzialmente mitigato dalla Legge n. 431/1998, che con il comma 5 dell’articolo 8, ha opportunamente modificato, ratione materiae, e quindi con specifico ed esclusivo riferimento alle locazioni abitative, l’originario articolo 26 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi. Che, infatti, oggi, benauguratamente, prevede: “I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare” (Clicca qui, per scaricare il TUIR).

Ad oggi, in sostanza, il contribuente potrà omettere di dichiarare i canoni non percepiti successivamente all’ordinanza di convalida di sfratto; canoni che, appunto, “non concorrono a formare il reddito“.

Resta fermo, al contrario, l’obbligo di dichiarazione dei canoni non percepiti prima dell’ordinanza di convalida. Ordinanza che potrebbe essere emessa anche a diversi mesi dalla prima udienza, come avviene nel caso (non infrequente) in cui venga concesso il cosiddetto “termine di grazia” per sanare la morosità. Ebbene i canoni non percepiti fino alla convalida (che si contano, di norma, in svariate mensilità) verranno “regolarmente” sottoposti a tassazione a prelevo fiscale; salvo il credito di imposta di pari ammontare da scontare per l’anno fiscale successivo. Il contribuente, per questa parte, si troverà quindi esposto ad un’irragionevole contribuzione per redditi di fatto non percepiti, per tali accertati anche nel corso del procedimento di convalida; ed onerato, ancora, di tutti gli incombenti connessi all’esercizio del credito di imposta per l’anno seguente. Nessuna possibilità, per altro verso soggiungiamo, di poter fruire di detrazioni e/o deduzioni per le spese legali sostenute. Fatte, sì, di oneri professionali; ma anche – ricordiamo – di consistenti spese tributarie (per bolli, contributi unificati, diritti di notificazione, ecc)

Inoltre, resta l’inspiegabile e sperequativo trattamento fiscale riservato alle locazioni ad uso diverso da quello abitativo; ergo per le cosiddette locazioni commerciali. Per queste resta infatti ferma, immutata, la disciplina generale dell’art. 26 del TUIR: “I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprieta’, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, salvo quanto stabilito dall’articolo 30, per il periodo di imposta in cui si e’ verificato il possesso“.

Per le locazioni commerciali, quindi, l’obbligo di dichiarazione e di contribuzione permarrà, fino a quando non sia intervenuta la pronuncia di convalida di sfratto o altra causa di risoluzione del contratto.

Doverosamente segnaliamo, sperando che la pronuncia, per quanto isolata, funga da “apripista“ ad una giurisprudenza illuminata, la sentenza n. 1007 del 28/6/2016, emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze; che, accogliendo il legittimo ricorso di una contribuente, aveva ritenuto di “estendere analogicamente l’esclusione dalla tassazione dei canoni non percepiti anche alle locazioni ad uso non abitativo, in presenza di un provvedimento giurisdizionale che accerti la morosità del conduttore“.

Doppio allarme, quindi, dovrà destare una morosità configuratasi nell’ambito di una locazione commerciale. Sarà bene, in questo caso, proprio per evitare gli strali di una iniqua disciplina fiscale, attivarsi con massima speditezza nei confronti dell’inquilino moroso. Se del caso anche sperimentando ipotesi di risoluzione contrattuale alternative rispetto allo sfratto e a quelle giudiziali; come ad esempio avviene per chi si sia avvalso della facoltà di risoluzione contrattuale connessa ad una clausola risolutiva espressa (art. 1456 Codice Civile) contemplata nel contratto di locazione.

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