La notifica al domicilio indicato in contratto. Le prassi deviate.
Nei contratti di locazione si rinviene spesso, e sempre più di frequente, l’indicazione del luogo utile per tutte le comunicazioni e per la notifica degli atti esecutivi e giudiziari destinati al Conduttore.
Normalmente la clausola di cui trattiamo si esprime, pressappoco, in questi termini: “il Conduttore dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni inerenti al contratto, e le notifiche degli atti processuali ed esecutivi eventuali, presso l’immobile locato“; ovvero: “il Conduttore, per la ricezione di tutte le comunicazioni e degli atti processuali a lui destinati, dichiara d’eleggere domicilio nell’immobile locato“.
Si tratta di una convenzione del tutto legittima, che, per prevenire il rischio di incomprensioni e perdita di preziose informazioni, consente al Locatore ed al Conduttore di fissare, proprio nell’immobile locato, il luogo delle comunicazioni pertinenti al rapporto locativo. Luogo ove, peraltro, il Conduttore (quantomeno nelle locazioni abitative) trova spesso la propria residenza di fatto e la propria dimora abituale. Quindi parliamo di una clausola in cui si sostanzia una tutela a favore di entrambe le parti contrattuali.
Ora, l’art. 660 c.p.c. (rubricato: “Forma dell’intimazione”), al comma primo recita: “Le intimazioni di licenza o di sfratto indicate negli articoli precedenti debbono essere notificate a norma degli articoli 137 e seguenti, esclusa la notificazione al domicilio eletto“.
Ebbene, in forza di un’applicazione distorta della norma, i Tribunali hanno spesso escluso la validità della notifica compiuta all’indirizzo indicato dal Conduttore nel contratto, ove questo non coincida con la residenza anagrafica formale. Con ciò compiendo un’assimilazione sostanziale, ed incongrua, del “domicilio” indicato in contratto, col domicilio eletto “presso una persona o un ufficio” di cui all’art. 141 c.p.c. (Clicca qui per visionare il testo dell’art. 141 c.p.c.,) che è e resta l’oggetto unico e specifico del divieto.
Le conseguenze pratiche dell’esclusione sono estremamente rilevanti.
Infatti, nel procedimento di convalida, per costante giurisprudenza, non è ammessa la notifica con il rito degli irreperibili. Donde, una volta che venisse esclusa la validità della notifica nel domicilio dichiarato in contratto, ed ove restassero altresì ignote la residenza formale e/o la dimora abituale dell’inquilino, per ottenere il provvedimento di rilascio dell’immobile, dovrebbe essere esperita l’ordinaria procedura di risoluzione contrattuale, disciplinata dal rito locatizio secondo l’art. 447-bis c.p.c. In sostanza verrebbe preclusa al Locatore la possibilità di esperire il rimedio processuale della convalida locatizia, ottenendo il rilascio con tempi e costi più contenuti.
Tuttavia, l’esatta portata applicativa del divieto enunciato dall’art. 660 c.p.c., primo comma, è stata più volte chiarita dalla Suprema Corte di Cassazione:
“Ove il conduttore, in occasione della stipula del contratto di locazione abbia indicato per la notifica degli atti il proprio domicilio, nella specie il luogo di lavoro, la notificazione dell’atto di intimazione di licenza o di sfratto può essere legittimamente eseguita a norma dell’articolo 137 presso tale domicilio senza che abbia incidenza il divieto posto dall’articolo 660 c.p.c. il quale si riferisce esclusivamente al domicilio eletto (di cui all’art. 141 c.p.c.; N.d.E.)” (Cass. Civ. 5103/1981).
Il principio di diritto è stato riproposto, e fatto proprio, anche dalle più recenti sentenze di Cass. Civ. n.ri 18795/2009 e 26985/2009:
“Le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza, e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi anche mediante presunzioni, come quelle desunte dall’indicazione di dimora abituale quale emerge dall’esecuzione del contratto intercorso tra le parti (in materia di diritto del lavoro)“.
Così pure in Cass. Civ. 17040/2003:
“In tema di corretta determinazione del luogo di residenza o dimora abituale del destinatario, ai fini di verificare la validità della notifica di un atto, costituisce idonea fonte di convincimento atta a confermare o a superare le risultanze anagrafiche (aventi valore meramente presuntivo) l’indicazione della residenza fatta dalla parte nel contratto all’origine della controversia dedotta in giudizio”
Ancora, con la recente sentenza 2642/2013, la Cassazione ha ulteriormente chiarito che, ove il contratto preveda un luogo per la comunicazione di corrispondenza e la notifica di atti, la notificazione in quel luogo diviene, addirittura, obbligatoria”
L’errata applicazione dell’art. 660, primo comma c.p.c., deriva – quindi – da un equivoco essenzialmente terminologico.
Il luogo indicato dal Conduttore per le notificazioni in sede di contratto non è, infatti, a tacer dal termine utilizzato, un atto d’elezione di domicilio.
Il “domicilio eletto” cui si riferisce la norma (escludendo la validità della notifica ai fini della convalida) è, al contrario, quello di cui tratta specificamente l’art. 141 c.p.c.: quindi il domicilio propriamente eletto “presso una persona od un ufficio“. Quindi presso un soggetto terzo (si pensi ad un commercialista, allo studio di un Notaio, o anche ad un terzo familiare), estraneo al contratto, ed incaricato appositamente di ricevere la corrispondenza.
Nonostante i termini inequivoci in cui si è espressa la Cassazione, capita che il Giudici della convalida, per eccesso di garantismo, vogliano escludere la validità della notifica (al contrario perfettamente regolare, ed anzi obbligatoria) effettuata nel luogo in cui il Conduttore aveva appositamente dichiarato di voler ricevere corrispondenza ed atti.
Ciò, si ripete, rappresenta una distorta ed incongrua interpretazione della norma che dà luogo ad una prassi deviata e di fatto illegittima.
In questi casi potrebbe essere opportuno, già in sede di udienza, l’immediato richiamo ai precedenti giurisprudenziali, per evitare che l’intero iter procedimentale subisca un consistente rallentamento.
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