Gli Esperti dello Sfratto

Quanto dura uno sfratto?

Quanto dura uno sfratto
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  • Aprile 5, 2017

Quanto dura uno sfratto?

La domanda che più spesso ci sentiamo rivolgere è: “Quanto dura uno sfratto??“.

Ebbene, non è possibile dare una risposta certa; ed offrire, così, la garanzia di un termine massimo entro il quale la procedura sarà ultimata. Le variabili da ponderare sono troppe; ed ogni caso presenta, inevitabilmente, le proprie specificità.

L’iter procedimentale, da un lato, prevede il rispetto di termini minimi previsti per legge; per lo più concepiti a garanzia del conduttore. Inoltre, in molti casi (ad esempio per il cosiddetto “termine di grazia” o per il termine di avvio dell’esecuzione), le previsioni normative consentono ai Giudici di indicare termini che oscillano tra un minimo ed un massimo. Donde non sarà possibile prevedere, in anticipo, quali saranno le indicazioni concrete del singolo magistrato. Ancora più incerti sono i tempi della fase esecutiva, che segue la convalida di sfratto, ed è tesa al recupero materiale dell’immobile. In questa fase, infatti, i tempi vengono scanditi dalle disponibilità dell’Ufficiale Giudiziario chiamato ad eseguire lo sfratto. E, in casi particolari, dalle disponibilità di ulteriori figure ausiliarie del processo esecutivo (ad esempio Agenti della Forza Pubblica, Servizi Sociali, medici-legali, guardie cinofile-zoofile, ecc). Sotto questo profilo, si riscontrano significative differenze nelle tempistiche fra le varie aree del Paese (Nord, Centro, Sud, aree metropolitane, aree provinciali).

Si consideri, inoltre, che diversi Tribunali dislocati su distretti ad alta densità abitativa (ad es. Torino, Milano, Lodi), per ragioni connesse al sovraccarico di procedure di sfratto, adottano da tempo la prassi delle “prenotazioni d’udienza” (Clicca qui, per leggere un articolo pertinente). Sicché la prima udienza, in cui dovrebbe discutersi ed ottenersi la convalida dello sfratto, viene fissata ben oltre i termini minimi previsti per legge (di venti giorni dalla notifica), ed anche a distanza di sette-otto mesi. Una modalità che frustra totalmente il carattere monitorio del procedimento di convalida.
In questo articolo daremo, pertanto, un’indicazione di massima dei tempi necessari, richiamandoci alle previsioni normative.
Cominceremo citando l’art. 5 della Legge n. 392 del 1978 (cd Legge Equo Canone). Si tratta, in sostanza, di un termine dilatorio extraprocedimentale: “… il mancato pagamento del canone decorsi 20 giorni dalla scadenza prevista…costituisce motivo di risoluzione…“. Quindi, di fatto, a supporto di un’intimazione di sfratto, non potrà essere dedotta una morosità, prima che siano decorsi 20 giorni dalla scadenza del termine previsto per contratto. Ad esempio: se il canone deve, per contratto, essere onorato entro il giorno 5 del mese, non si potrà notificare l’intimazione per sfratto prima del giorno 26 di quello stesso mese.

Ancora il termine “a comparire” previsto dall’Art. 660, IV comma del Codice di Procedura Civile prevede che “tra il giorno della notificazione dell’intimazione e quello dell’udienza (di convalida N.d.R) devono intercorrere termini liberi non minori di 20 giorni“. L’obbligo di rispettare questo termine comporta, al lato pratico, la necessità di fissare l’udienza di convalida, prudenzialmente, a non meno di 35 – 40 giorni dal giorno in cui è richiesta la notifica (nel caso in cui la notifica non vada esperita e perfezionata con modalità particolari).

All’udienza di convalida, il conduttore potrà poi avvalersi del cd “termine di grazia” per provvedere alla sanatoria della morosità; istituto giuridico spesso abusato (Clicca qui, per leggere un nostro pertinente articolo) previsto e disciplinato dall’art. 55, secondo comma, della Legge n. 392 del 1978: “…il Giudice, dinanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, può assegnare un termine non superiore a giorni novanta. In tal caso rinvia l’udienza a non oltre dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato. 

Prosegue il terzo comma dell’art. 55, sempre a proposito del termine di grazia: “Il termine di cui al secondo comma è di centoventi giorni, se inadempienza, protrattasi per oltre due mesi, è conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie gravi, comprovate condizioni di difficoltà“.

Quanto ai termini di esecuzione il Giudice provvede, con margini estremante discrezionali, secondo la disposizione di cui all’art. 56 della Legge n. 392 del 1978 (a rubrica: modalità per il rilascio”: “Con il provvedimento che dispone di rilascio, il giudice, previa motivazione che tenga conto anche delle condizioni del conduttore comparate a quelle del locatore nonché delle ragioni per le quali viene disposto il rilascio stesso e, nei casi di finita locazione, del tempo trascorso dalla disdetta, fissa la data dell’esecuzione entro il termine massimo di sei mesi ovvero, in caso eccezionali, di dodici mesi dalla data del provvedimento“.

Quindi, attesi gli ampi margini di discrezionalità rimedi al Giudice, non sarà mai possibile indicare una data certa, da cui si potrà esperire la fase di rilascio. Le dizioni con cui i Giudici indicano la data d’esecuzione nei provvedimenti di convalida si esprimono, per lo più, in termini consimili: “….fissa la data di esecuzione a data non anteriore al….“.

Sarà questa, si noti, la data da indicare nell’atto di precetto; ossia l’intimazione fatta dal locatore al conduttore, prima che inizi la fase esecutiva vera e propria. Infatti, secondo le previsioni speciali dell’art. 605, 2° comma c.p.c. “Se il titolo esecutivo dispone circa il termine della consegna o del rilascio, l’intimazione va fatta con riferimento a tale termine“. Per vero, molti operatori notificano il precetto non applicando questa previsione favorevole, ed acceleratoria: e quindi, facendo erroneamente riferimento alla previsione generale dell’art. 480 c.p.c., concedono al conduttore “un (ulteriore e non dovuto N.d.R.) termine non minore di dieci giorni“.

Si entra quindi nella fase dell’esecuzione. A mente dell’art. 608 c.p.c. (Modo del rilascio): “L’esecuzione inizia con la notifica dell’avviso con il quale l’ufficiale giudiziario comunica almeno dieci giorni prima alla parte, che è tenuta rilasciare l’immobile, il giorno e l’ora in cui procederà“. Parliamo del cd. “preavviso di rilascio” o “preavviso di escomio”.  Il secondo comma dell’art. 608 prevede: “Nel giorno dell’ora stabiliti, l’ufficiale giudiziario, si reca sul luogo dell’esecuzione e, facendo uso, quando occorre dei poteri a lui consentiti dall’art. 513, immette la parte istante o una persona da lei designata nel possesso dell’immobile“.  Ora, i poteri cui fa cenno l’art. 608, sono appunto disciplinati dal secondo comma dell’art. 513, che recita: “quando è necessario aprire porte, ripostigli o recipienti, vincere la resistenza opposta dal debitore o da terze persone che disturbano l’esecuzione del pignoramento, l’ufficiale giudiziario provvede secondo le circostanze, richiedendo quando occorre, l‘assistenza della forza pubblica“.

Come anticipavamo i tempi dell’ufficiale giudiziario possono variare, ed anche sensibilmente, in base ai distretti di competenza territoriale. Di norma, col primo accesso dell’ufficiale giudiziario, non si perfeziona il rilascio. A meno che questo non intervenga spontaneamente. Il primo accesso si traduce, quindi, in una sorta di “ispezione” dei luoghi, finalizzata a comprendere quali potranno essere gli accorgimenti opportuni da adottare in concreto durante il rilascio. Nella migliore delle ipotesi il rilascio avviene, sempre secondo le disponibilità dell’ufficiale giudiziario, nel corso del secondo o del terzo accesso, alla presenza della forza pubblica, ove occorrente. Normalmente fra un’accesso e l’altro intercorrono non meno di trenta giorni.

Registriamo, purtroppo, casistiche, davvero sconsolanti, in cui il rilascio si perfeziona secondo un ordine di priorità della procedura, nemmeno precisamente disciplinato, nel corso del quinto, sesto o settimo accesso. A distanza di parecchi mesi dall’inizio dell’esecuzione. Questa condizione di grave difficoltà si realizza prevalentemente nelle aree metropolitane, in ragione del carico di lavoro degli ufficiali giudiziari, ed anche delle Forze di Polizia (e, talora, degli altri ausiliari) che, in concreto, devono prestare assistenza agli Ufficiali Giudiziari, durante il rilascio materiale del bene.

Comprendiamo bene che questa dettagliata illustrazione possa gettare nello sconforto il proprietario che si aggiunga ad una procedura di sfratto. Ma, di fatto, alla domanda “Quanto dura uno sfratto?“, non può darsi una sola risposta. Nei casi migliori, questo va detto, la procedura può essere risolta anche in pochi mesi dall’intimazione (cinque-sette mesi). Ma, come abbiamo visto, in certe ipotesi, ed in certi Distretti, c’è il rischio concreto che l’iter per riacquisire la disponibilità del proprio immobile diventi una vera e propria via crucis.  Del resto, di fronte ad una morosità conclamata e ad un un inquilino che occupa l’immobile senza corrispondere il canone, non vi sono mai alternative all’iniziativa processuale. La condizione di morosità difficilmente si risolve in modo spontaneo. Al contrario, tende ad ingravarsi con trascorso del tempo.

Sicché, la decisione più saggia è quella di attivarsi subito; senza indugi, affidandosi a professionisti seri, competenti ed in grado di comprimere al massimo i tempi del loro intervento. Possibilmente a costi che consentano di contenere i danni inevitabilmente connessi alla morosità locativa. La filosofia ed il fine ultimo cui è improntato il nostro servizio: SoloSfratti.it 

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